Piet Mondrian | L'astrazione come conclusione di un percorso artificiale


Non è luogo comune la comprensione di un quadro che ci si pone davanti come composizione di linee, macchie o campi di colore. E' anche solo difficile credere che queste siano l'epurazione della figura, dell'oggetto o del paesaggio che in realtà, per sue caratteristiche, ha mosso l'animo fino a portarci a scegliere di dipingerlo.
Sorge una domanda: quando questi gesti volontari divengono oggetto dell'arte, dipinti, tecnica e tradizione?
L'astrattismo assume per funzione la caratteristica di non essere reale, ma fino a che punto si può pronunciare tale affermazione essendo esse stesse linee tracciate su un supporto?
E' vero: l'astrattismo, in quanto corrente artistica, si rende artefice dell'oggetto che la descrive attraverso il disegno: un segno grafico che dopo l'osservazione dell'oggetto fisico lo rappresenta nella forma più vicina possibile alla realtà, così com'è. Ma è quando si intraprende un progressivo percorso di geometrizzazione della linea, volta a rappresentare l'essenza volumetrica, che la rappresentazione cambia direzione. La crescente stilizzazione richiamerà l'attento occhio d'indagine di artisti come Mondrian, i quali saranno promotori di un nuovo percorso attraverso la forma per dirigersi poi verso una geometrizzazione sempre più forte e sempre più orientata verso le linee cardinali dell'oggetto osservato fino a raggiungere le origini della geometria stessa.

I primi anni del Novecento saranno essenziali per la presa in coscienza dell'astrattismo che poi solamente successivamente diverrà effettiva corrente artistica.
In questi anni, tra il 1910 e il 1912 Piet Mondrian, dopo aver iniziato la sua attività artistica nell'ambito della pittura realista di ascendenza post-impressionista in riferimento alla tradizione paesaggistica olandese, intraprende un artificiale percorso di progressiva astrazione della forma documentata in fasi dalla serie della produzione Alberi. L'opera posta a determinare l'inizio di un percorso d'indagine che ne varrà un'intera carriera artistica prende il nome di Albero Rosso, nella quale la reazione emotiva dell'artista, mossa dall'osservazione dell'oggetto naturale, corrisponde al colore rosso e alla ridondanza della linea curva.
L'indagine prosegue con l'Albero Argento dove il colore cade d'importanza assumendo tonalità fredde, meno emozionali e violente, lasciando spazio alla potenza del tratto, della linea nelle sue soluzioni stilistiche. Ma è nell'opera successiva, Melo in Fiore, che la linea domina la scena; il segno infatti non si discosta molto dalla formulazione precedente ma diviene una sua progressiva stilizzazione, semplificazione che deve fare i conti con la forma e con lo spazio risultante dalla volontà di regolarizzare la varietà della forma naturale riconducendo questa alla sua essenza e indagando così la sostanza della realtà. 
E' un percorso che parte dall'oggetto naturale, del quale rimane traccia costante, e si evolve attraverso un percorso artificiale, non reale, di astrazione della forma suggerita dalla realtà con il fine di esser messa al servizio individuale con lo scopo di accogliere senza pretese la sensibilità di ciascun osservatore. Così facendo l'opera viene intesa come universale, lontano dall'egoismo del singolo ma dedita all'armonia collettiva, suprema, resa comprensibile all'universo perché prodotta attraverso l'uso della ragione. Osmosi tra tecnica e arte imprescindibile da un percorso artificiale di semplificazione geometrica, unica lingua universale adottata come medio tra il linguaggio chiaro della matematica e quello confuso dei sentimenti.

Il percorso artificiale, al fine di questa indagine, si presenta quindi come un effettivo processo di astrazione assumendo essenzialmente il significato di non reale ma reso tangibile dal disegno di  immagini che non appartengono alla nostra esperienza visiva ma comunicate nella libertà di uso di linee, forme e colori senza limitare lo spazio in cui viviamo.

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